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Integrare la Torah nella propria vita attraverso la riflessione e la conversazione può essere un'esperienza incredibilmente divertente e coinvolgente. È un viaggio di scoperta, dove l'antica saggezza e gli insegnamenti senza tempo prendono vita nelle nostre esperienze quotidiane. Attraverso la riflessione, abbiamo l'opportunità di immergerci in profondità nel ricco arazzo della Torah, estraendo profonde intuizioni e lezioni che risuonano con le nostre vite moderne. La gioia sta nei momenti "aha", quei casi in cui un versetto o una storia della Torah si collegano improvvisamente alle nostre sfide personali, alle nostre aspirazioni e ai nostri valori. E quando ci impegniamo in conversazioni sulla Torah con altri, diventa un'esplorazione interattiva, in cui prospettive e interpretazioni diverse migliorano la nostra comprensione. Questi dialoghi spesso accendono l'entusiasmo e la curiosità intellettuale, rendendo il processo di apprendimento piacevole e appagante. La Torah diventa una parte vibrante e dinamica della nostra vita, offrendo non solo una guida ma anche una fonte di fascino, connessione e crescita infinita.

NOTA: Non sentitevi obbligati a consultare tutte le fonti o a rispondere a tutte le domande, a meno che non vogliate farlo. Anche una sola fonte o una sola domanda vi fornirà molto materiale per la discussione e la meditazione. Buon divertimento!

Alcune riflessioni sulla Parsha

"Ecco, io pongo oggi davanti a voi una benedizione e una maledizione: la benedizione, se darete ascolto ai comandamenti del SIGNORE vostro D-o... e la maledizione, se non darete ascolto...".
(Deuteronomio 11:26-28)

Cosa è una benedizione e cosa una maledizione?

In ebraico, la parola che indica la benedizione...bracha- porta con sé l'idea di espansione. Quando benediciamo, non ci limitiamo a ringraziare, ma espandiamo la nostra consapevolezza di D-o attraverso i doni che Egli ha messo nella nostra vita. Anche una cosa semplice come mangiare una mela può diventare un atto di consapevolezza superiore se ci ricorda Colui che ce la fornisce. La maledizione, invece, non è solo sfortuna o disgrazia, ma il crollo e la rovina che derivano dall'allontanamento da D-o.

Il grande commentatore Seforno spiega che la benedizione significa ricevere molto di più di quanto ci si potrebbe aspettare, mentre la maledizione significa cadere molto in basso. Non esiste una via di mezzo neutra: le nostre scelte ci aprono alla benedizione o ci trascinano verso la maledizione.

Oltre il rituale

Rabbi Bachya Ibn Paquda, in Doveri del cuore, spiega che anche le attività più ordinarie - mangiare, lavorare, fare esercizio fisico, costruire una famiglia - possono rientrare in due categorie: servizio a D-o o autoindulgenza. La linea di demarcazione è l'intenzione. Se le nostre azioni sono compiute per amore del Cielo, ossia con lo scopo consapevole di servire, elevare o connettersi a G-o, esse diventano azioni simili alle mitzvòt. Se invece sono fatte solo per autogratificazione, perdono il loro valore superiore e scivolano verso la corruzione.

Per i Noahidi, questo principio è vitale. Sebbene non siate vincolati dai 613 comandamenti dati a Israele, si applica la stessa verità: la vita non è divisa ordinatamente in "sacra" e "mondana". Ogni scelta ha un peso spirituale. L'onestà negli affari, la gentilezza in casa, la gratitudine nella vita quotidiana: sono atti sacri se rivolti a D-o.

Il test quotidiano

Questa prospettiva può intimorire, perché sembra mettere tutta la vita sotto i riflettori. Ma è anche profondamente incoraggiante. Significa che tutta la vita è un'opportunità di connessione. L'ufficio, la cucina, lo studio o il giardino non sono "zone neutre" al di fuori della santità; sono proprio le arene in cui la fede diventa reale.

La tradizione ebraica mette in guardia dalla compartimentazione, dal vivere una "vita divisa", in cui D-o viene riconosciuto solo in luoghi o rituali speciali. La vera santità significa portare tutta la vita sotto la Sua luce. Una persona più felice, sana ed equilibrata è anche un miglior servitore di D-o, perché può portare più forza, gioia e presenza in ogni compito.

Una parola di cautela

In questo caso, però, dobbiamo ricordare un limite importante. Come avvertono Rambam e Meiri, è vietato ai Noahidi creare nuovi rituali religiosi o "aggiungere comandamenti" che D-o non ha dato. Inventare le proprie mitzvot significa cadere nel problema di mechadesh dat. La sfida non è quella di imitare gli obblighi rituali di Israele, ma di portare la creatività, l'integrità e lo scopo nel proprio percorso donato da Dio. All'interno di questi confini, c'è una grande libertà di santificare la propria vita quotidiana.

Cosa significa per noi?

La vita è ciclica. Anche le più grandi persone spirituali aumentano e diminuiscono la loro consapevolezza. Un momento è pieno di chiarezza e di preghiera, quello successivo è pieno di richieste di lavoro o di famiglia. È naturale. Ciò che conta non è la perfezione, ma l'orientamento: scegliere sempre di nuovo di ricollegare la vita alla sua Fonte.

Quando si ricorda che la benedizione scaturisce dal vivere in linea con la volontà di D-o, anche il momento più ordinario - condividere un pasto, parlare gentilmente, lavorare onestamente - diventa santo.

Ora, riflettete sulle seguenti domande:

  1. Come definisco la benedizione nella mia vita: guadagno materiale o vicinanza a D-o?
  2. Quando mi dedico a compiti ordinari, mi fermo a chiedermi: lo faccio solo per me stesso o anche per il bene di Dio?
  3. Dove sono più tentato di separare la mia "vita spirituale" dalla mia "vita quotidiana"?
  4. Come posso usare la gioia, la salute o la creatività come strumenti per servire D-o anziché sfuggirgli?
  5. Rischio di inventare nuovi rituali o incanalo la mia creatività nella santificazione di ciò che è già permesso e buono?

Shabbat Shalom!

Di Rabbi Tani Burton

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